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Replying to Il subdolo pregiudizio
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Rosanna SPosted: 4/4/2016, 23:42
ok Grazie. Appena riesco ti scrivo le due righe...

Stavo ri-ri-ri leggendo kakasci. Mi limito a due punti
CITAZIONE
cosa succede quando scopriamo un nostro pregiudizio: c'è chi lo conferma e lo rende un pensiero a sé stante, e chi cerca di eliminarlo

Anche se qui se ne scrive, e ci si riflette, ci si apre, non è così "abituale" per quel che mi è dato osservare in chi mi sta vicino (famiglia, colleghi, amici...) l'autoosservazione e l'autovalutazione. Presuppongono un'analisi onesta dei propri comportamenti, dei propri pensieri.
Va detto che sono processi intimi... cose che si fanno tra sè e sè. Quando si rendono manifeste prendono la forma del "cambio idea" o "cambio atteggiamento" ma a volte sono ben mascherati.

Se sono molto attenta (e onesta) posso notare che ho dei pregiudizi sbagliati, che mi bloccano o mi creano un danno, un disagio o mi fanno perdere delle opportunità e in tal caso, a me viene spontaneo provare ad eliminarli.

Se non mi accorgo che il mio è un pregiudizio, anzi sono convinta che sia una mia opinione (un mio giudizio, un pensiero razionale ben analizzato e ponderato)...lo porto avanti come tale a seconda dei casi.

CITAZIONE
resta il punto che la formazione (o l'installazione) di un pregiudizio è successiva a una forma mentis che lo consente.

.......... se abbiamo un'impostazione mentale che dà la possibilità di creazione o di fermentazione di pregiudizi (fobici o meno, ci torno tra poco) il problema non è tanto il singolo pregiudizio, la singola fobia, ma il come siamo arrivati ad avere una mente così tanto spugnosa, così tanto ricettiva di messaggi di intolleranza.

Non me la sento di considerare i pregiudizi totalmente negativi. Nascono da condizionamenti che in origine dovrebbero avere una impronta educativa volta a tutelare il bambino che sta crescendo e deve imparare cosa è "utile" cosa è "pericoloso". Da cosa fare attenzione etc.
Il meccanismo in sè non è sbagliato. Esempio, capito anche con esperienza diretta che "il fuoco brucia" o che al freddo si gela" imparo che "il fuoco è utile per scaldarmi, ma anche pericoloso"... Quando sento odore di bruciato, scatta il meccanismo di allerta e difesa...
Stessa cosa accade con le persone o con certe tipologie di persone. Non sto a dilungarmi in esempi.

"La mente spugnosa" è fondamentale per apprendere. Non vorrei ripetermi ma la risposta inconscia è rapidissima ed è quella che in certe occasioni ci salva la pelle o ci evita pericoli. La mente razionale non è altrettanto efficace.
Il retro della medaglia è ovviamente un esasperato meccanismo di difesa... da situazioni o persone "diverse" (diverse in tutte le accezioni possibili...compreso diverso=non conosco quindi nel dubbio sto sulla difensiva).
kostakiPosted: 4/4/2016, 22:32
CITAZIONE (Rosanna S @ 4/4/2016, 23:13) 
Kostaki, è possibile scambiare con te due righe in pvt?

abilitata (qui su fc) e commenta qualcosa del sensei, altrimenti ci morde :asd:
Rosanna SPosted: 4/4/2016, 22:13
Kostaki, è possibile scambiare con te due righe in pvt? La messaggeria risulta bloccata per cui non so proprio come contattarti.
Se la risp è no, come non detto.
kostakiPosted: 4/4/2016, 01:47
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Ora, oltre al fatto che la pagina che ho messo qui sopra chiarisce quello di cui parlava kostaki nel primo post (la differenza tra "immotivata" e "irrazionale")

oltre a quello, apprezzo che la distinguano sia dalle paure che dal delirio :asd: quella parte è esatta, chi soffre di una fobia sa, razionalmente, che non ha nessun motivo di temere il motivo della fobia e nemmeno si tratta di una ossessione, anche se, ma questo lo chiarirò meglio dopo, comunemente c'è chi considera fobie anche fenomeni meglio descrivibili come paure e ossessioni.

Un esempio, questa www.fobie.org/hipopotomonstrosesquipedaliofobia.html per quanto possa sembrare una "fobia", rientra più nella categoria delle paure, i sintomi non sono quelli delle fobie immotivate (come penso abbiate già capito, quei sintomi li conosco bene), quest'altra https://it.wikipedia.org/wiki/Ipocondria o Patofobia, è più una ossessione
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Ho aspettato molto prima di commentare perché il lungo articolo di kostaki non solo è molto articolato, ma incorpora così tanti aspetti complicati che io ci metterei almeno una settimana a scrivere una risposta esaustiva punto per punto.

ho allargato la questione più di quanto volessi, ma volevo fa risaltare le differenze fra ciò che effettivamente è una fobia e ciò che viene considerato una fobia anche se non ritengo che lo sia, e perchè viene considerato tale, e l'ho fatto malamente :asd: la questione della diversità l'ho trattata in modo superficiale e approssimativo, ma oltre ad essere vastissima (e il trattarla in modo adeguato, non ho timore a dire che supera le mie capacità e competenze) mi serviva solo una pietra di paragone
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Ma cerchiamo di valcare la frontiera e spingerci in uno spazio altro, in uno spazio di confine che mescola e rimescola le carte in tavola. E vorrei farlo, visto che siamo in terra neutrale, dalla questione del diverso.

Un piccolo escursus: kostaki introduce così l'argomento,
CITAZIONE
Esiste un comportamento, che si chiama rifiuto del diverso, che fa parte del meccanismo di sopravvivenza delle società umane

Solo su questa frase dovremmo dibattere a lungo, perché prima di tutto vorrei capire come lo si cataloga come comportamento, e secondo, ed è anche l'aspetto più importante, subito dopo diventa parte di un meccanismo che è anche legato alla sopravvivenza della società.
Questo per dire che non stavo scherzando quando parlavo del fatto che in quel primo articolo si parla di moltissimi aspetti complicati.

"Il comportamento è il modo di agire e reagire di un oggetto o un organismo messo in relazione o interazione con altri oggetti, organismi o più in generale con l'ambiente."<- prima che ils ensei mi metta alla gogna e mi frusty, ammetterò che è una definizione semplicistica, ma è più o meno quello che intendevo, la reazione di un individio (o gruppo di individui) di fronte ad una determinata situazione
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Ritornado alla questione, che il diverso sia trattato sempre in maniera anormale (le implicazioni della parola sono volute) è cosa comunemente accettata, anche da chi usa quei metodi: non si tratta tanto di riconoscere qui i meccanismi (vedete, ogni cosa torna sempre a galla, complicato non discuterne prima o poi!) di esclusione del diverso, ma i motivi.

sì, i motivi, come avrai notato, io ho usato la discriminante del benessere sociale, non dico che si tratti di una teoria esaustiva, ma non è peggio di quella, più diffusa, del livello di istruzione :asd: se è vero che il demagogo che dipinge il diverso come una minaccia parla, come si usa dire ora, alla pancia della popolazione, è anche vero che una pancia piena (e che abbia buone prospettive di rimanere tale) è poco disposta a dargli ascolto, forse meno disposta di un orecchio sì istruito, ma collegato ad una pancia vuota
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
E i motivi sono quelli, tenderei a dire sempre ma la casistica potrebbe contraddirmi, del pregiudizio; il pregiudizio come è sorto dalla discussione non è per forza un male assoluto, un male radicale, perché è comunque un aspetto preponderante dei rapporti intra- e inter- sociali.
I pregiudizi collegano molte idee della nostra mente, non ne siamo immuni; tuttavia bisognerebbe capire come nascono i pregiudizi e come non vengono debellati quando li si scopre.
Sulla questione della nascita ognuno la pensa un po' secondo la sua scuola di pensiero, ma c'è da domandarsi, sempre secondo i principi in cui ci riconosciamo, se il pregiudizio pur non essendo un male assoluto sia anche un principio a somma zero, ovvero se il pregiudizio sia comunque una forma di pensiero.
Attenzione, non sto parlando di pensiero in sé, ma di forma di pensiero. La questione che pongo è: il pregiudizio crea limiti per il pensiero in sé oppure lo fa debordare e lo fa vivere in tensione con se stesso?
Da qui nasce anche il rimedio: se accettiamo che il pregiudizio è una forma di contenitore in cui si può sviluppare un pensiero, allora tutto è risolvibile senza particolari stravolgimenti; in alternativa se non lo crediamo, la questione si inalbera ancora di più.

aiuto, si è scatenato! :asd:
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Voi mi pare di intuire dalla discussione che pensate che il pregiudizio possa comunque portare a un momento di sintesi positiva; io invece ho dubbi su questo.

no, io lo considero la degenerazione di un male necessario, se per evitare di fare la fame non posso tollerare chi non produce secondo le necessità della comunità (chiamiamola la sindrome del villaggio di contadini medioevale, o della tribù primitiva) quando questa necessità cessa l'intolleranza deve prima attenuarsi e poi cessare (fenomeno che, solitamente, richiede alcune generazioni), la sua persistenza senza attuenazioni la considero dannosa
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Resta l'altro aspetto, ovvero cosa succede quando scopriamo un nostro pregiudizio: c'è chi lo conferma e lo rende un pensiero a sé stante, e chi cerca di eliminarlo. Ma queste due formule possono funzionare?
A mio modo di vedere le cose, non troppo. L'educazione politica (in senso molto ampio) richiede molti sforzi e molto sacrificio, per cui riuscire a debellare un pregiudizio è facile a dirsi e a pensarsi, ma non a farsi.

a quanto leggo in giro, la soluzione più diffusa è negare di averne :asd: ma è vero, anche se ne siamo consci, a livello razionale, estirparlo è un'altra cosa, dovendo basarmi sulla mia esperienza personale, dovrei dire che non è possibile, io sono conscio di averne, e di non averli estirpati, la consapevolezza però mi consente di tentare di agire razionalmente, senza tenerne conto, è solo una imitazione di estirpazione, a volte funziona
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
E in più non è tanto la questione di come si elimina quel tale pregiudizio, ma di come si è formato: non torno sulla questione appena messa da parte, ma resta il punto che la formazione (o l'installazione) di un pregiudizio è successiva a una forma mentis che lo consente.

sì, anche se io continuo a considerare il pregiudizio come una degenerazione, di questa "forma mentis"
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Vorrei fare l'ultima tirata su questo, cercando di dare un senso di unità alle mie frasi: se abbiamo un'impostazione mentale che dà la possibilità di creazione o di fermentazione di pregiudizi (fobici o meno, ci torno tra poco) il problema non è tanto il singolo pregiudizio, la singola fobia, ma il come siamo arrivati ad avere una mente così tanto spugnosa, così tanto ricettiva di messaggi di intolleranza.
Non sto parlando delle fobie "classiche", quelle citate anche nell'immagine sopra, ma di quelle più legate ai rapporti sociali (la xenofobia mi pare la più eclatante) e che dunque non possono essere trattate in forma clinica (che è, a sommi grandi, il sunto della mia critica a kostaki e Galimberti).
I "significati simbolici" della fobia sono reali ed esistenti, il problema si ripone però sul fatto che non tutte le fobie hanno radici comuni e non tutte le fobie sono legati a "timore irrazionale e invincibile"; non tanto perché è vincibile, ma perché molte volte il velo di irrazionalità non ha a che vedere con un processo di mancanza di qualcosa, ma di una mancanza specifica: un'educazione sociale.

Quindi non mi pare giusto equiparare tutti i tipi di fobia, e in realtà credo, a differenza di kostaki, che alcuni tipi di fobia pur non essendo completamente ascrivibili a una descrizione clinica dela fobia, lo siano; e non perché ci piace usare le parole a caso, ma per una serie di fattori che ho confusamente descritto qui sopra.

qui il problema sorge dal fatto che, secondo me, anche prima dell'uso propagandistico / politico del termine, lo si usava per definire come unica cosa delle cose diverse :asd: e che ancora viene fatto una specie di mescolanza, col termine fobia io volevo specificatamente indicare un tipo di disturbo, ma so anch'io che il termine viene comunemente utilizzato con un significato più ampio, che non condivido, esistono, ma non sono fobie, o se sono fobie, quello di cui parlavo io non lo è
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
Poi c'è anche l'uso del pregiudizio in forma negativa, ed è qui che si vede la nascita di alcune fobie di tipo sociale; ed è certo vero che l'uso sconsiderato delle parole -fobiche porta a grandi problemi di comprensione, ma provo a dare un paio di motivazioni sul fatto che questo non è un problema che ora può riguardarci: prima di tutto perché è un problema degli psicoanalisti e dei comportamentisti, e qui non stiamo discutendo con loro, e in secondo luogo perché cercando di tracciare una linea di demarcazione (e avendo io anche un senso di oppressione verso la psicoanalisi del secolo scorso) tra aspetti clinici e critica sociale, dobbiamo venire al compromesso che l'uso di parole dai forti connotati ha sia un aspetto simbolico (diverso da quello delle fobie) e sia un effetto mediatico, entrambi utili a problematiche altrimenti derubricate.

fino all'uso simbolico, posso ammetterlo, anche se continuo a ritenere che si finisca per danneggiare dei poveracci senza ottenere un equivalente vantaggio, o un vantaggio qualunque, è l'uso propagandistico (l'esempio che ho fatto, la costruzione dell'eurofobia, è abbastanza tipico), che non voglio giustificare e non lo ritengo giustificabile
CITAZIONE (Kakashi @ 4/4/2016, 00:25) 
né a seguire la conversazione che era iniziata

né a rispondere al mio piccolo quesito :asd: però la tua "ossessiva prolissità" è sempre interessante :fifi:
KakashiPosted: 3/4/2016, 23:25
Mi scuso per il ritardo, dovrò anche ricollegarmi agli argomenti passati un po' in secondo piano durante la discussione.
Inizierei con una citazione dal "Dizionario di psicologia" curato da U. Galimberti per UTET (per i nostri scopi è più che sufficiente):


La descrizione si noterà subito è di stampo freudiano, e il problema, almeno da questo tipo di impostazione, è vecchio quanto la psicoanalisi (nella bibliografia si veda il libro del 1895).

Ora, oltre al fatto che la pagina che ho messo qui sopra chiarisce quello di cui parlava kostaki nel primo post (la differenza tra "immotivata" e "irrazionale"), devo però dire che, a conti fatti, non sono d'accordo con nessuna delle definizioni date: né da quella di kostaki né da quella di Galimberti (o chi per lui).
La questione mi pare molto complessa e non starei qui a dibatterla, perché sinceramente non so se ne ho gli strumenti adatti; quindi andrò oltre senza la premessa, sperando di poterla inserire nel discorso complessivo.

Ho aspettato molto prima di commentare perché il lungo articolo di kostaki non solo è molto articolato, ma incorpora così tanti aspetti complicati che io ci metterei almeno una settimana a scrivere una risposta esaustiva punto per punto.
E so anche che sto comprando tempo, cercando di scansare la discussione vera e propria, ma non posso fare altrimenti, perché anche avendo preso tempo e avendo pensato a come rispondere, la questione mi pare insormontabile.

Ma cerchiamo di valcare la frontiera e spingerci in uno spazio altro, in uno spazio di confine che mescola e rimescola le carte in tavola. E vorrei farlo, visto che siamo in terra neutrale, dalla questione del diverso.

Un piccolo escursus: kostaki introduce così l'argomento,
CITAZIONE
Esiste un comportamento, che si chiama rifiuto del diverso, che fa parte del meccanismo di sopravvivenza delle società umane

Solo su questa frase dovremmo dibattere a lungo, perché prima di tutto vorrei capire come lo si cataloga come comportamento, e secondo, ed è anche l'aspetto più importante, subito dopo diventa parte di un meccanismo che è anche legato alla sopravvivenza della società.
Questo per dire che non stavo scherzando quando parlavo del fatto che in quel primo articolo si parla di moltissimi aspetti complicati.

Ritornado alla questione, che il diverso sia trattato sempre in maniera anormale (le implicazioni della parola sono volute) è cosa comunemente accettata, anche da chi usa quei metodi: non si tratta tanto di riconoscere qui i meccanismi (vedete, ogni cosa torna sempre a galla, complicato non discuterne prima o poi!) di esclusione del diverso, ma i motivi.
E i motivi sono quelli, tenderei a dire sempre ma la casistica potrebbe contraddirmi, del pregiudizio; il pregiudizio come è sorto dalla discussione non è per forza un male assoluto, un male radicale, perché è comunque un aspetto preponderante dei rapporti intra- e inter- sociali.
I pregiudizi collegano molte idee della nostra mente, non ne siamo immuni; tuttavia bisognerebbe capire come nascono i pregiudizi e come non vengono debellati quando li si scopre.
Sulla questione della nascita ognuno la pensa un po' secondo la sua scuola di pensiero, ma c'è da domandarsi, sempre secondo i principi in cui ci riconosciamo, se il pregiudizio pur non essendo un male assoluto sia anche un principio a somma zero, ovvero se il pregiudizio sia comunque una forma di pensiero.
Attenzione, non sto parlando di pensiero in sé, ma di forma di pensiero. La questione che pongo è: il pregiudizio crea limiti per il pensiero in sé oppure lo fa debordare e lo fa vivere in tensione con se stesso?
Da qui nasce anche il rimedio: se accettiamo che il pregiudizio è una forma di contenitore in cui si può sviluppare un pensiero, allora tutto è risolvibile senza particolari stravolgimenti; in alternativa se non lo crediamo, la questione si inalbera ancora di più.
Voi mi pare di intuire dalla discussione che pensate che il pregiudizio possa comunque portare a un momento di sintesi positiva; io invece ho dubbi su questo.
Capisco che la questione posta in questi termini non è molto chiara, lasciamola quindi da parte per ora.
Resta l'altro aspetto, ovvero cosa succede quando scopriamo un nostro pregiudizio: c'è chi lo conferma e lo rende un pensiero a sé stante, e chi cerca di eliminarlo. Ma queste due formule possono funzionare?
A mio modo di vedere le cose, non troppo. L'educazione politica (in senso molto ampio) richiede molti sforzi e molto sacrificio, per cui riuscire a debellare un pregiudizio è facile a dirsi e a pensarsi, ma non a farsi.
E in più non è tanto la questione di come si elimina quel tale pregiudizio, ma di come si è formato: non torno sulla questione appena messa da parte, ma resta il punto che la formazione (o l'installazione) di un pregiudizio è successiva a una forma mentis che lo consente.

Vorrei fare l'ultima tirata su questo, cercando di dare un senso di unità alle mie frasi: se abbiamo un'impostazione mentale che dà la possibilità di creazione o di fermentazione di pregiudizi (fobici o meno, ci torno tra poco) il problema non è tanto il singolo pregiudizio, la singola fobia, ma il come siamo arrivati ad avere una mente così tanto spugnosa, così tanto ricettiva di messaggi di intolleranza.
Non sto parlando delle fobie "classiche", quelle citate anche nell'immagine sopra, ma di quelle più legate ai rapporti sociali (la xenofobia mi pare la più eclatante) e che dunque non possono essere trattate in forma clinica (che è, a sommi grandi, il sunto della mia critica a kostaki e Galimberti).
I "significati simbolici" della fobia sono reali ed esistenti, il problema si ripone però sul fatto che non tutte le fobie hanno radici comuni e non tutte le fobie sono legati a "timore irrazionale e invincibile"; non tanto perché è vincibile, ma perché molte volte il velo di irrazionalità non ha a che vedere con un processo di mancanza di qualcosa, ma di una mancanza specifica: un'educazione sociale.

Quindi non mi pare giusto equiparare tutti i tipi di fobia, e in realtà credo, a differenza di kostaki, che alcuni tipi di fobia pur non essendo completamente ascrivibili a una descrizione clinica dela fobia, lo siano; e non perché ci piace usare le parole a caso, ma per una serie di fattori che ho confusamente descritto qui sopra.

Hieronymus-Bosch-Narrenschiff



Poi c'è anche l'uso del pregiudizio in forma negativa, ed è qui che si vede la nascita di alcune fobie di tipo sociale; ed è certo vero che l'uso sconsiderato delle parole -fobiche porta a grandi problemi di comprensione, ma provo a dare un paio di motivazioni sul fatto che questo non è un problema che ora può riguardarci: prima di tutto perché è un problema degli psicoanalisti e dei comportamentisti, e qui non stiamo discutendo con loro, e in secondo luogo perché cercando di tracciare una linea di demarcazione (e avendo io anche un senso di oppressione verso la psicoanalisi del secolo scorso) tra aspetti clinici e critica sociale, dobbiamo venire al compromesso che l'uso di parole dai forti connotati ha sia un aspetto simbolico (diverso da quello delle fobie) e sia un effetto mediatico, entrambi utili a problematiche altrimenti derubricate.



Probabilmente non sono riuscito a rispondere a nessuno dei quesiti posti dall'articolo né a seguire la conversazione che era iniziata; volevo solo mettere un po' di dinamite qua e là, rigirare il discorso e vedere cosa ne usciva.
Aggiungo anche che non tutto quello che ho scritto probabilmente è un mio pensiero, ne ho sviluppato uno che credo abbastanza coerente con le poche premesse che ho dato.
E in più, mi sono divertito un po' a scherzare un po' con tutto il pacco istituzionale che verrebbe con una discussione su questi argomenti.



È un po' come i personaggi del quadro che ho inserito qui sopra: in una costruzione verticale, con sviluppo orizzontale ma solo in basso. Una bandiera, diversi tipi diversi; tutti ugualmente rinnegati. Sono i folli, gli esclusi, i mortificati e i mai riabilitati se non per questioni proto-umanitarie, ma sempre ingabbiati in celle più o meno materiali.
Rosanna SPosted: 3/4/2016, 22:49
CITAZIONE (FMQ @ 3/4/2016, 22:03) 
Chi gentilmente mi potrebbe fare una sintesi delle argomentazioni che si stanno toccando in questo momento, così da poter esprimere al meglio le mie opinioni ?

Provando a mettermi nei tuoi panni... mi sto chiedendo come potresti esprimere al meglio le tue opinoni su una sintesi fatta da altri. Chi meglio di te può farla, proprio adatta a te, senza omettere quelle parti che più catturano la tua attenzione e toccano il tuo vissuto e le tue conoscenze?

A volte ci sono così tanti spunti (è il caso degli scritti di questo blog) che non si sa da dove cominciare nel tentare una risposta. Una sintesi aiuterebbe a focalizzare l'attenzione sul punto cruciale dell'autore o degli altri partecipanti, ma il bello dei post e dei commenti così articolati è proprio osservare quello che ognuno riceve, cattura, (o da cui viene catturato), capisce, elabora, esprime; tutto ciò si realizza giocoforza attraverso una "lettura personale", possibilmente completa, del materiale pubblicato. Magari anche più di una ... Io per esempio trovo rilassante ed interessante rileggere il materiale. Anche a distanza di tempo... In momenti diversi e stati d'animo diversi saltano fuori elementi sfuggiti in precedenza.
kostakiPosted: 3/4/2016, 21:48
:blink: di solito l'argomento di cui si parla, in ogni discussione, è l'articolo del primo post
FMQPosted: 3/4/2016, 21:03
Chi gentilmente mi potrebbe fare una sintesi delle argomentazioni che si stanno toccando in questo momento, così da poter esprimere al meglio le mie opinioni ?
Rosanna SPosted: 3/4/2016, 13:17
CITAZIONE (kostaki @ 3/4/2016, 00:38) 
mi piacerebbe conoscere la tua opinione (e l'opinione di tutti i lettori) riguardo a questo
CITAZIONE
puoi comunque rispondermi prendendo ad esempio i comportamenti di chi viene accusato di esserlo, hanno le stesse reazioni e comportamenti di chi soffrebbe di claustrofobia? di aracnofobia?

io ho risposto no basandomi sia su esperienze personali che sulle esperienze di amici e parenti, appronfondendo un po' la cosa con letture sull'argomento, ma non ho la pretesa di considerarla una risposta esauriente e definitiva

Per la mia esperienza ristretta, non hanno le stesse reazioni.
kostakiPosted: 2/4/2016, 23:38
mi piacerebbe conoscere la tua opinione (e l'opinione di tutti i lettori) riguardo a questo
CITAZIONE
puoi comunque rispondermi prendendo ad esempio i comportamenti di chi viene accusato di esserlo, hanno le stesse reazioni e comportamenti di chi soffrebbe di claustrofobia? di aracnofobia?

io ho risposto no basandomi sia su esperienze personali che sulle esperienze di amici e parenti, appronfondendo un po' la cosa con letture sull'argomento, ma non ho la pretesa di considerarla una risposta esauriente e definitiva